Descrizione
Il percorso artistico di Luca Maria Patella si apre negli anni Cinquanta con le prime esperienze nel campo della grafica e dell’incisione; a partire da metà anni Sessanta inizia a integrare alle tecniche tradizionali il medium fotografico e a sperimentare inedite soluzioni cromatiche, come evidenzia l’importante serie di quattro acqueforti a colori simultanei, Paesaggio colorato, esposta alla Biennale di Venezia del 1966, in cui il motivo naturalistico appare racchiuso nel margine di un negativo fotografico 35mm.
A partire dallo stesso anno, Patella adotta definitivamente l’immagine fotografica e il film come media elettivi, spesso servendosi di strumenti non comuni (obiettivo fish eye, pin-hole camera, autoscatto, stop motion ecc.), in molti casi reinventati e trasformati artigianalmente. La serie delle sue tele fotografiche rappresenta una delle prime applicazioni sistematiche in campo artistico della fotografia, in parallelo ma con significative divergenze rispetto alle contemporanee esperienze di Tano Festa e Giulio Paolini. Il filo conduttore della ricerca di Patella diviene a partire da questo momento un’indagine sulle caratteristiche linguistiche ed estetiche della fotografia, trasportata alle dimensioni e sul supporto tradizionale della pittura (tela e telaio), sulla relazione tra immagine e parola, e al tempo stesso un’esplorazione del quotidiano e dello scenario urbano, del caso e della memoria involontaria.
"Gocce (immagine oggettiva)", 1966, rappresenta un esempio tra i più significativi di questa fase della sua ricerca. Patella vi articola un’analisi di ordine concettuale dell’interazione tra comportamenti umani, il tempo e l’ambiente reale, seguendo una concezione che troverà la sua manifestazione più completa nella personale "Ambiente proiettivo animato" alla galleria L’Attico di Roma nel 1968.
Secondo la testimonianza orale dello stesso Patella, in un primo tempo l’artista realizza in piazza di Spagna a Roma una fotografia in formato 35mm di un cofano di automobile coperto di gocce di pioggia. Successivamente ingrandisce il negativo e lo stampa in grandi dimensioni su tela emulsionata Tensi all’interno del laboratorio della Calcografia Nazionale, in quegli anni utilizzato da Patella come studio; successivamente, attraverso successivi bagni con appositi reagenti chimici, l’immagine in bianconero viene virata nel colore giallo-verde attualmente visibile.
Anziché testimoniare una “presa diretta” sul mondo visibile, la fotografia diviene in quest’opera un momento di verifica mentale ed elaborazione visionaria del mondo circostante. Le gocce d’acqua fortemente ingrandite acquistano una inedita concretezza, trasformandosi nell’evocazione di una dimensione in perpetua trasformazione, ormai slegata dalla circostanza aneddotica della ripresa fotografica e consegnate a una nuova, immaginaria e imprevista esistenza. (Stefano Chiodi)