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Giannetto Bravi Il Vesuvio in valigia

Misure
cm 25 x 19 x 10
Descrizione
Giannetto Bravi (Tripoli, 1938 - Cislago, 2013) si forma a Napoli, dove vive dal 1940 al 1974, laureandosi in Geologia e avviando la sua ricerca nell’ambito delle neoavanguardie artistiche dell’epoca. Le prime sperimentazioni sono dipinti realizzati con colori luminescenti, in cui l’esperienza percettiva delle ricerche Op del centro Europa e dell’America Latina si confronta e contamina con l’impiego semplificato dei colori della Pop Art anglosassone e statunitense. Il suo esordio avviene nel 1967 con la prima mostra personale alla Galleria Fiamma Vigo di Roma, dove espone le Verifiche (1964-1966): tele di forte ascendenza optical che presentano una scansione geometrica della superficie attraverso linee orizzontali e cerchi concentrici. Dopo aver partecipato, negli anni Settanta, alla fondazione della Galleria Inesistente, con Bruno Barbati, Vincent D’Arista, Maria Palliggiano, Gianni Pisani ed Errico Ruotolo, l’artista inizia a realizzare le sue “valigette” prodotte in serie, che diverranno elemento riconoscibile della sua produzione partenopea. La ricerca dell’artista è, in quel periodo, condizionata da un doppio binario: da un lato la conoscenza profonda di una cultura locale diventata simbolo universale del folklore, dall’altro un’attitudine scientifica al rilevamento, alla verifica, al reperto. Il Vesuvio in valigia è un’opera degli anni ‘70 realizzata per il progetto Operazione Vesuvio – Parco Culturale Internazionale I – Mostra progetti Europa a cura di Pierre Restany, presso la Galleria Il Centro di Dina Caròla di Napoli. È stata esposta al Madre nel 2015 in occasione del progetto espositivo Per_formare una collezione #4, a cura di Alessandro Rabottini ed Eugenio Viola. L’opera è un ready-made composto da una valigetta in cartone, pressato e serigrafato dall’artista, contenente materiale lavico. Nel concept di Operazione Vesuvio, progetto utopico di Land Art, la proposta dell’artista consisteva nell’invaligiamento metaforico del cono vulcanico, al fine di preservare il Vesuvio dalla speculazione edilizia imperante all’epoca. La seconda fase di sviluppo del progetto prevedeva l’invio di una serie di cartoline postali, con l’indicazione del luogo preciso nel quale il destinatario doveva prelevare “un pezzo di Vesuvio” da riportare “in situ” quando si fossero affermate le condizioni per un corretto operare civico e artistico.
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