Descrizione
Il progetto delle “Lapidi” nasce dal recupero di lapidi dimesse in un cimitero di campagna che impressionano Xerra per la forza simbolica dell’oggetto dimenticato. L’opera ha certamente una parentela con il ready-made duchampiano, dato che si tratta di oggetti reali prelevati da un contesto, assai denso di significato, e collocati in un altro ambito altrettanto indicativo: il museo. Questa ricollocazione non è l’unico intervento dell’artista, egli infatti sostituisce la fotografia dell’estinto con uno specchio, nel quale lo spettatore troverà riflesso se stesso. In tal modo l’immagine del defunto, per antonomasia fissa, immobile ed eterna, riflette i movimenti dello spettatore, e con essi la vita, entrando in profondo conflitto con l’immaginario funebre. Del resto, l’oggetto è ora in un museo, disponibile non tanto alla contemplazione, quanto all’interazione. Il pubblico, specchiandosi e riconoscendosi nel presunto defunto, interviene a completare il senso dell’opera, e al contempo riflette sullo statuto della morte, della vita, dell’arte. È l’estetica del frammento, da sempre centrale nei lavori di Xerra, soprattutto dagli anni Settanta. L’esordio di Xerra avviene in ambito informale nei primi anni sessanta. Poco dopo aderisce alle ricerche verbovisuali, per poi orientarsi, nel decennio successivo, verso una ricerca concettuale e performativa tra happening, performance e video. Sempre negli anni Settanta nascono i “Vive”, opere realizzate con vari media e caratterizzate da un senso di negazione su cui l’artista pone il marchio “Vive”, dando alla parola la possibilità di ribaltare il senso di una cancellazione.
Della fine degli anni Novanta è la serie dei “Io mento”. Sull’intero e omogeneo percorso dell’artista aleggia un inesauribile interesse per il rimosso, il marginale, il frammento della quotidianità. (LG)