Descrizione
Sin dal 1968, ancora agli esordi, Marco Gastini adoperò il plexiglas in qualità di supporto trasparente (Parola 2001, pp. 148-149). Questi pannelli accoglievano sulla loro diafana superficie l’opacità degli interventi pittorici a nitro, smalto o vernice a elevata carica metallica, col fine ultimo di ottenere una sospensione vacua, ariosa, delle macchine pittoriche dello spazio. Affinando questa sensibilità per il segno e la traccia sospesa, visivamente libera dal suo supporto, ma vincolata a esso materialmente, Gastini si risolse a graffiare direttamente l’epidermide delle lastre, esponendole la prima volta nel 1971, al Salone Annunciata (Milano 1971b).
Tale lavoro era compiuto da Gastini sul retro del plexiglas o, per meglio dire, sul lato opposto a quello offerto alla vista frontale dello spettatore: “ la lastra è incisa, graffiata da dietro, alla superficie intatta corrisponde un inalvearsi dentro. Il segno è tolto, è sottratto, è stato portato via: o sta nascendo? La luce condotta sul foglio è respinta o esaltata come un grumo materico, nella zona incisa, là dove, appunto, la materia è sottratta”. (Fossati 1976, p. 64).
Queste lastre erano appese alla parete, allestite in serie o singolarmente, secondo le dimensioni dello spazio espositivo e quelle conseguenti delle lastre, quasi sempre preferendone un numero minore all’aumentare delle loro dimensioni. Di sei lastre, alte circa 60 centimetri e ora nelle collezioni del Museo del Novecento, fu la serie esposta nel 1973, in occasione della personale dell’artista alla Galerie Annemarie Verna (Zurigo 1973). Ognuna delle forme graffiate proietta un’ombra sul muro che amplifica l’ambiguità spaziale della loro presenza. Da un lato, infatti, ne conferma l’appartenenza a un piano distante dal muro, ossia al quasi invisibile plexiglas, dall’altro ne confonde ulteriormente i minuziosi e indefiniti contorni che, lasciando intravedere lo sfondo ombreggiato, paiono amalgamarsi con esso.[Denis Viva].