Descrizione
«Io costruisco il vuoto», così Gianni Asdrubali descrive la sua azione pittorica. Il vuoto è l’elemento fondante che emerge dall’opera: «Il vuoto diventa pieno, prende corpo e assume le sembianze del marmo e il marmo è leggero come l’aria» (F. Menna, Aggancio. Gianni Asdrubali, Milano 1987, p. 13). Rappresentante, almeno fino al 1987 circa, del gruppo Astrazione povera, teorizzato da Filiberto Menna, che si muove in netto contrasto con le Transavanguardie, in cui il pieno, il materico, il colore riempiono non solo la tela, ma anche lo spazio, Asdrubali depura ulteriormente la tela da forme e colori. Egli riduce le prime a linee decise, sprezzanti, che divergono fra loro; riduce, in questa fase, la scala cromatica al solo bianco e nero, mentre l’aggiunta di colori più freddi e acidi (da blu al verde, come nel nostro caso) fa sì che lo spazio non dipinto emerga dal fondo. Le tracce di forza spingono lo sguardo verso l’esterno, nella direzione di uno spazio oltre la cornice, quasi un richiamo agli effetti prospettici del Rinascimento e del Manierismo. Egli traccia linee sinuose o rettilinee, linee organiche (come avviene sulla destra della nostra opera), che emergono dal contrasto cromatico, come si trattasse di una battaglia fra la bidimensionalità della superficie della tela e la terza dimensione, che è rappresentata dal vuoto. Sì, perché è l’assenza a dare concretezza, materia e forza alla superficie pittorica. Le linee non disegnano profili riconoscibili di forme note, sembrano muoversi in maniera casuale. L’artista, tuttavia, con la sua azione, con il suo gesto, crea una struttura organizzata, dosa l’ampiezza e le direzioni, senza dilatare eccessivamente lo spazio, seguendo quella volontà di riduzione che caratterizza l’intervento di Asdrubali, il quale afferma ancora che «la sintesi è ciò che all’interno del quadro avviene tra spazio colore e segno». (Pamela Perillo)