Descrizione
Con la prima tela estroflessa, la Superficie nera in rilievo del 1959, Castellani abbandonò la gestualità dell'informale e avviò un processo di azzeramento espressivo attraverso la riduzione dei mezzi artistici agli elementi costitutivi del quadro: tela, telaio, chiodi, e colori acrilici. Se in un primo tempo i rilievi, originati dalla tensione tra i chiodi fissati dall'interno e quelli ribattuti dall'esterno, erano disposti liberamente nella parte centrale della tela, gradualmente Castellani si è orientato verso strutture più regolari e complesse, che esplorano le infinite possibilità di variazione formale e ritmica tra concavità e convessità e tra negativo e positivo, dispiegando quanto Germano Celant definisce una "tavolozza" di motivi ottici: curve, vortici, assembramenti e rarefazioni (Milano 2001b, p.16).
La tela, ricoperta di strati uniformi di pittura acrilica, si trasforma così da semplice supporto a oggetto estetico a sè stante, in grado di creare luci e ombre indipendentemente dal colore. La scelta della monocromia e, a partire dal 1962, quasi esclusivamente del bianco, accentua l'oggettività e l'immaterialità di una ricerca armonica che si affida al calcolo matematico. In quest'ottica è risultata fondamentale, per Castellani, la lezione del Bauhaus - assorbita durante gli studi di architettura a Bruxelles nella prima metà degli anni cinquanta, che lo portò a ridurre il più possibile il divario tra tecnica e poetica - e di Mondrian: nello scritto Continuità e nuovo, pubblicato nel 1960 sul secondo numero di "Azimuth", il maestro olandese viene indicato come principale referente storico per aver affermato la "possibilità di una forma d'arte ridotta alla semanticità del suo linguaggio" (Castellani 1960). L'opera è stata acquistata dalle Civiche Raccolte nel 1982 [Mariella Milan].