Torino, 1931
Marisa Merz inizia a lavorare nella Torino degli anni Sessanta, nel momento di massima sperimentazione dell’ambiente artistico. Pur trovandosi al centro di un sistema dell’arte in particolare fermento, la sua ricerca fin da subito si contraddistingue per un atteggiamento di consapevole lateralità e di autoesclusione e si caratterizza per un’attenzione all’intimità del gesto artistico, in un rituale continuo di ripetizione e riproposizione della sua vita privata. Le sue opere sono volutamente fuori da ogni tipo di classificazione e sono spesso il frutto di una profonda riflessione sul tema della maternità, intesa come metafora del processo di creazione e come presa di coscienza del proprio vissuto interiore. La levità e l’intimismo sottesi nei gesti dell’artista passano attraverso atti semplici e primordiali come l’intreccio, il ricamo, il nodo: pratiche che rimandano ad un universo femminile e che rivendicano una loro autonomia e significanza.