Description
Ettore Spalletti negli anni Settanta inizia un percorso artistico dove la memoria del classico si coniuga con la modernità, dove la centralità dell’esperienza del paesaggio e l’esplorazione della monocromia come metafora della sensibilità percettiva diventano cardini della sua ricerca artistica. Dalla fine degli anni Settanta, proprio per sottolineare il rapporto fra scultura e architettura, i quadri monocromi di Spalletti si “divincolano” dalla parete, iniziano a rimanere staccati da essa, talvolta come dittici, per lo più a comporre un angolo simmetrico. La sensazione che essi creano è quella della perdita d’equilibrio, di un continuo spostamento, grazie anche al gioco chiaroscurale che si crea dal rapporto fra la superficie illuminata dell’opera e le ombre generate dal distacco di essa dalla parete. Vi è dunque in Spalletti un grande studio sul concetto di movimento: l’opera fluisce e cambia in base allo spazio espositivo e ai visitatori che si muovono attorno ad essa. Ne consegue, pertanto, una grande cura dell’artista nel collocare sapientemente le sue opere nello spazio per mantenere il legame forte con l’architettura circostante. I quadri di Spalletti con la loro terza dimensione sono ispirati alla storia dell’arte italiana degli anni Sessanta dallo spazialista Lucio Fontana a Piero Manzoni: le sue opere non solo si protendono nello spazio, ma sono esse stesse spaziali. Spalletti realizza i suoi quadri senza cornice: togliendola, il colore assume lo spazio, lo invade e «quando questa cosa riesce è miracolosa» (Spalletti, 2006). A livello tecnico il processo di realizzazione delle opere di Spalletti è assai complesso e rituale: i colori a olio, stemperati da pigmenti e gesso, vengono stesi con uno strato sottile dall’artista tutti i giorni alla stessa ora per circa venti giorni. Soltanto alla fine, quando i pigmenti si disperdono sulla superficie attraverso l’abrasione, appare il colore. Grande importanza ha per Spalletti anche la dimensione tattile delle sue opere “negata” all’osservatore: se toccati, infatti, i pigmenti presenti sulla superficie delle sue creazioni si spostano annullando quella sorta di sacralità del colore che l’artista realizza. (Martina Borghi)