Descrizione
Dopo la formazione a Bologna e le prime personali nella seconda metà degli anni sessanta, Pier Paolo Calzolari abbandona la pittura tradizionale per entrare, tra il 1967 e il 1972 (periodo della sua peregrinazione fra Urbino, Berlino, New York e Parigi), nell’orbita dell’Arte Povera. Il suo lavoro, malgrado la vicinanza evidente con artisti come Mario Merz o Jannis Kounellis, presenta singolarità dedotte dall’incontro con l’Arte Concettuale europea e il Post-Minimalismo americano: una certa attenzione alla composizione rigorosa che punta a rendere visibile l’essenza astratta. Tuttavia Calzolari non arriva mai al definitivo distacco dalla forma pittorica. La sua è, al contrario, un’incessante sperimentazione coloristica in cui assumono una certa rilevanza i materiali scelti, spesso di natura fragile o effimera. Questa selettività, che lo stesso Calzolari definisce «Una tavolozza allargata ai materiali che esistono», dà il via sul finire degli anni sessanta a installazioni che utilizzano elementi contrastanti per peso e natura (il sale e la cera; il piombo e il ferro) a cui spesso affianca l’uso del fuoco: luci o candele accese modificano l’opera in fusioni, ossidazioni con conseguenti alterazioni di forma e colore. Lo stato del materiale e i suoi cambiamenti determinano le scelte più interessanti di Calzolari. Nel Senza titolo del 1983, su una lastra di piombo vengono apposti, mediante specifici sostegni, lumini a olio debitamente accesi. Il bruciare di queste piccole luci provoca scioglimenti di materiale e variazioni di colore. L’arte diventa allora trasformazione, una forma precaria in continuo divenire. L’azione performativa dell’accendere il fuoco affida all’artista parte del controllo sulla propria opera ma è il tempo, con il suo agire sui materiali, a terminarla. [Aurora Tamigio]